Il Costume Popolare di Pezze di Greco
Sono i nostri contadini per ragion di mestiere temprati ai cocenti soli della state ed ai forti geli del verno, onde sono essi resistenti alla ingiurie delle diverse stagioni dell’anno…sono eglino pure costretti far uso di vestimenti adatti alle condizioni ed ai luoghi in mezzo ai quali vivono e dimorano…….
Le famiglie dè contadini preparavano, filavano e tessevano la lana delle proprie pecore, il cotone ed il lino dè loro campi per confezionare i vestiti di roba casalin … (Vincenzo Chiaia, “ Delle vesti e del modo di vestire dei contadini”, La Puglia Agricola, Luglio,1885).
La descrizione accurata, degli abiti dei contadini, contenuta nell’articolo di Vincenzo Chiaia, peraltro documentata in altre fonti, ci ha consentito di individuare i caratteri generali degli abiti delle classi subalterne in meridione, nel periodo che intercorre tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento.
Lo stesso genere di vestiario si è riscontrato visionando il materiale raccolto nel territorio di Pezze di Greco. Questo materiale, pur avendo una datazione più recente, dimostra come l’abbigliamento popolare, per ragioni economiche e pratiche, abbia conservato a lungo una tipicità comune in molte regioni, al di fuori della variabilità delle mode.
L’articolo di Vincenzo Chiaia, sottolinea la produzione domestica dei tessuti, non mancando d’informarci circa i prodotti tessili presenti sul mercato locale provenienti da Cisternino, Locorotondo e Alberobello che accanto ai pregiati panni di lana e mezzalana di Martina erano impiegati per abiti da festa.
Inoltre, annota la presenza di tessuti più fini di produzione industriale, come mussolina e seta, che si potevano acquistare nelle fiere o dagli ambulanti, consentendo ad un numero sempre maggiore di contadini benestanti di avvicinare il loro modo di vestire all’uso borghese.
L’articolo sopracitato non manca di annotare come le donne delle classi intermedie o le contadine agiate, scimmiottavano la moda poiché tentavano di imitare le vesti delle signore con cuscinetti sul dorso che a detta dell’autore, simulavano la “coda darwiniana”. Ciò nonostante si precisa che gli abiti da lavoro delle contadine e delle braccianti erano conformati su modelli di praticità che segnano i tempi lunghi di una moda pratica, adatta al lavoro. I tessuti impiegati erano, il rigatino chiaro, la teletta a colore tessuta quadri, a piccoli motivi geometrici e floreali. L’abito femminile era composto da un corpetto con maniche, oppure ne era privo ma con camicia a vista. La gonna era “arruffata sugli sporgenti fianchi”, cioè arricciata. Il grembiule era confezionato in teletta bianca, che nelle festività poteva essere di lana o seta mista a lana a colori. Per il lavoro dei campi bastava una leggera sottana in canapa e bustino di teletta. Dalla descrizione di Vincenzo Chiaia, si può ipotizzare che i bustini lavorati provenienti da Pezze di Greco con tutta probabilità servissero alla doppia funzione, sia intimo che da esterno per uso lavoro. Le scarpe di vacchetta si portavano solo per la festa, mentre il lavoro nei campi si faceva scalze. Per proteggersi dal freddo oltre agli scialli di lana, in questa zona, fino ai primi anni del 1900 erano presenti delle coltri rettangolari di panno scuro o di imbottito con lavorazione a matelassé che venivano fissati in vita mediante nastri. Le acconciature erano a crocchia con trecce inframmezzate da nastri rosso scarlatto per le maritate, nero per le nubili e viola per le fidanzate, fermate da spadini d’argento o d’osso. Il fazzoletto da testa si legava a triangolo sotto il mento. Gli orecchini d’oro con perle e smalti, detti fioccaglia, uniti a molti altri gioielli come la catena d’oro a più giri con fermaglio sul lato del petto, li portavano solo le donne di condizione agiata come le mogli dei massari e coloni. Alle ragazze erano concessi piccoli orecchini, un giro di coralli al collo, nastro di velluto nero con fermaglio d’oro, collanine di pastiglia di corallo o vetro colorato munite di crocetta in osso bianco con funzione di amuleto per fermare l’emoraggia , guarire il mal di denti e dileguare il “fascino” cioè il malocchio. Gli uomini di media condizione, cioè piccoli possidenti, massari, fittavoli e artigiani si vestivano con una certa ricercatezza poiché possedevano più tipi di abiti, realizzati in lana e mezzalana per l’inverno, con cappello di feltro a piccola tesa, e abiti in cottone, lanetta e canapa per l’estate, con cappelli di paglia. Stivaletti di vacchetta per la festa e scarpa grossolana per la campagna. Esibendo inoltre orologio da tasca con catena d’acciaio. Sembra che taluni portassero cerchietti d’oro alle orecchie, usanza che in alcune zone del barese, persiste fino agli anni Cinquanta del Novecento a distinguere i carrettieri. Braccianti e giornalieri condizionati dal loro stato economico indossavano lo stesso tipo di abito per tutte le stagioni. Esso era confezionato in tessuto di rigatino o mezzalana tinto in blu o in verde, chiamato anche langhì. Nei rigori invernali, per proteggersi dal freddo, oltre alla corta mantella, sovrapponevano una giacca sull’altra. In testa ponevano un berretto di maglia a forma conica . Per il lavoro dei campi si indossava la sola camicia e lunghi mutandoni di cotone o canapa senza scarpe e un grande cappello di paglia. Dalle informazioni contenute nell’articolo di Vincenzo Chiaia e dalla consultazione di altre fonti documentali come contratti dotali, fotografie ed elementi di vestiario è dunque possibile individuare i modi del vestire delle diverse classi sociali presenti nel nostro territorio, rendendo percorribile l’ipotesi che anche gli abiti degli artigiani e dei contadini di Pezze di Greco, si siano adattati ai modelli diffusi in tutta la regione, pur mantenendo margini di singolarità determinati dai tessuti, che provenendo in gran parte da produzione domestica, potevano esprimere fantasie individuali e carattere locale. Con i caratteri del proprio tempo e del proprio luogo d’origine, l’abito assolveva al compito di segnare i confini del territorio di appartenenza, di comunicare l’uso a cui era destinato, di soddisfare le sembianze estetiche di una comunità, senza trascurare il gusto personale e le rispettive individualità.
Rita Faure
Docente di Costume per lo Spettacolo
presso l’Accademia di Belle Arti di Bari